
Giorgia Persico
Foto di supermercati vuoti, mascherine con bucce d’arance e video su come si lavano le mani invadono i nostri social.
Nel meridione italiano alcuni iniziano a discriminare lo studente o il lavoratore del Nord, “statevi a casa”. Una continua diatriba senza logiche, vittima di un’ossessiva paura verso una poco più che un’influenza.
Ma a Sud della nostra Italia cosa sta accadendo?
Esseri umani colpiti da bombe in Siria. Famiglie costrette a rifugiarsi nelle montagne siriane, non trovano però il bucolico contado boccacciano ma solo freddo e gelo, causa di morte. Un papà fa credere a sua figlia che quel terribile frastuono è un gioco quasi a ricordare l’espediente di Benigni nella Vita è bella.
La realtà però è lontana da una proiezione cinematografia. Ad Idlib, nella zona nord occidentale della Siria, Russia e Turchia continuano a combattere. Metà delle vittime sono donne e bambini. 900 sono i morti a meno di tre mesi dallo scoppio della guerra.
Meinie Nicolai, direttrice generali di Medici Senza Frontiere, afferma: “Abbiamo chiesto più e più volte alle parti coinvolte nel conflitto siriano, ai loro alleati e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di fare tutto il possibile per porre fine a queste violazioni. Rinnoviamo il nostro appello con il più alto livello di urgenza. I civili e le infrastrutture civili devono essere protetti e il nostro appello al rispetto delle regole della guerra si rivolge sia ai gruppi di opposizione che alle forze armate turche che al governo siriano e ai suoi alleati, inclusa la Russia, principale alleato militare”.
Medici Senza Frontiere sul sito web informa che tre ospedali vicino alla linea del fronte hanno ricevuto 185 feriti e 18 persone già morte. Era solo il 25 febbraio.
E ancora, Cristian Reynders, coordinatore operazioni per la Siria nord-occidentale chiede: “Quante madri dovranno ancora tenere in braccio il loro bambino mentre le bombe cadono ovunque? Quanti padri dovranno rassicurare i loro figli e farli ridere, mentre gli spari esplodono tutto intorno? C’è una cosa in cui le persone in Idlib continuano a sperare: preservare la vita. Ma le loro speranze si abbassano ogni minuto, di giorno in giorno”.
E mentre Putin ed Erdogan decidono le sorti, migliaia di uomini potrebbero dar vita ad un grande esodo, la storia davvero non insegna, la popolazione siriana sarà costretta ad occupare altre zone della Siria arrivando anche a rifugiarsi nella Turchia del nord.
A Sud-Ovest della Siria, in Egitto si trova Patrick George Zaky. Chissà a cosa starà pensando? Anche lui vorrebbe fuggir via non da un virus ma da una prigione reale, di ferro. La sua di valigia era arrivata in aeroporto ma l’hanno portato via. Arrestato.
Ragazzo attivista per i diritti delle persone Lgbt, del Cairo, frequentava il Master Gemma dell’Università di Bologna, i genitori non vedendolo dallo scorso agosto avevano pensato di regalare, a lui, un biglietto, ma lì ad Al-Mansura Patrick non è mai arrivato.
Il giovane lavorava per Egyptian Initiative for Personal Rights, Ong che ha dato notizia dell’arresto. Le accuse a quanto riporta TPI sono le seguenti:
Diffusione di false notizie per disturbare la quiete pubblica; incitamento a proteste non autorizzate, con l’obiettivo di screditare il prestigio dello Stato e disturbare la pace e la sicurezza pubblica; propaganda per rovesciare il governo e cambiare i principi basilari della costituzione; utilizzo di account social per destabilizzare l’ordine pubblico e soprattutto promozione di comportamenti violenti e crimini di matrice terroristica.
Lo studente era stato manager della campagna presidenziale di Khaled Ali, uno degli oppositori del presidente Abdel Fattah al-Sisi, difendeva con decisione i diritti delle donne, omosessuali e minoranze. Non si conoscono con nitidezza i motivi dell’arresto, una mente scomoda per il paese egiziano. Il giornale ufficiale del paese Akhbar Elyom trova scandaloso e “perverso”, sempre secondo quanto riporta TPI, l’impegno verso gli omosessuali.
Potrebbe essere questo il movente dell’arresto?
Patrick di fronte ai giudici ha urlato la sua innocenza, i suoi capelli sono stati tagliati ed il suo occhio sembra infetto. Trasferito nel carcere di Mansoura le visite sono state negate fino al 5 marzo. I suoi amici e la sua famiglia non hanno idea di quali siano le sue condizioni di salute.
Nel frattempo, in questo periodo, la nostra Penisola ha sentito il passo, in diverse piazze, di giovani studenti uniti per liberare Patrick, a quattro anni dal caso Regeni, occuparsi di diritti umani è condanna e tortura.
In Via Salaria a Roma, vicino l’ambasciata d’Egitto, si trovava un murales, è stato rimosso. L’abbraccio di Giulio mentre sussurra nell’orecchio di Patrick “stavolta andrà tutto bene”, restano piccole macchie bianche. Lo ridisegneremo noi, di nuovo, nelle nostri mente e nel nostro cuore, sì Patrick andrà tutto bene.
Amnesty Internation – che riporta la vicenda del giovane giorno dopo giorno, dal suo arresto quella mattina del 7 febbraio, ammanettato e bendato per 17 giorni fino al rigetto della richiesta di scarcerazione, – chiede di unirci e firmare l’appello dando la possibilità di lasciare un messaggio per Patrick.
I colori rosso e blu del Bologna, nella tribuna, hanno ospitano un grande striscione “Giustizia per Patrick” ed anche nella terra della sua prigionia l’Ong egiziana, dove lavorava, ha chiesto libertà. “Non vi è alcuna ragione” dicono.
Vestiamoci di Patrick, noi studenti, noi essere umani noi tutti. Non oscuriamo le nostre coscienze con preoccupazioni fini a sé stesse e fini a troppi programmi TV, illuminiamole con quella candela di Amnesty e la stessa, insieme, la libereremo dal filo spinato che la circonda.
Patrick tornerai a casa, tu forse più di tutti ne hai il forte bisogno e desiderio e voi bambini/e, donne e uomini siriani avrete un posto sicuro dove dormire la notte.
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