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Quando ti manca anche il caffè schifoso

Vincenzo Alessandro

Parma è in zona rossa.
Più correttamente: la provincia di Parma è fra le 14 province indicate dal nuovo decreto emanato dal governo stanotte. Decreto che limita fortemente la possibilità di movimento nelle zone indicate. Tuttavia è innegabile che da giorni ormai la città è in continuo mutamento per via della diffusione del virus e una misura del genere era prevedibile. Sono sicuro che a tanti, come me, cominciano a mancare cose a cui prima non si era dato rilievo, forse perché l’abitudine è la prima maschera della vita.

Mi manca il caffè scanente delle macchinette anche se da anni dico che fa schifo. Mi manca la corsa per trovare posto in biblioteche affollate da noi e dai nostri finti silenzi, il chiacchiericcio incessante e quelle occhiate che ci lanciamo quando vogliamo studiare, o vogliamo un altro caffè. Ora immagino le biblioteche nel loro assoluto, assordante, vuoto rumore di nulla. Senza occhi che si incrociano, senza gente che sussurra, solo la polvere che si posa sui libri. Mi manca perfino la folla nell’osteria che abitualmente frequento, la stessa folla che maledicevo ogni weekend perché poi, troppa fila al bancone.
Quello che non mi manca, ma che invece è come se avesse trovato nuova linfa, è il mio osservare. Osservare come il mondo in cui vivo sta cambiando sotto il peso di questa emergenza: dal barista costretto ad aprire solo il sabato perché in giro non c’è nessuno, a medici e infermieri che fanno ore di lavoro impossibili, al docente che tramite una piattaforma virtuale consola e sprona i suoi studenti, al ristoratore costretto a dimezzare i posti a sedere. A tutti quei genitori del sud (compresi i miei) in ansia, che vorrebbero abbracciare i loro figli costretti al nord ma non possono. Osservo gli irresponsabili che affollano le stazioni per scappare, non dal virus ma dalla paura di ritrovarsi isolati senza più un’abitudine con cui mascherare la loro vita.

Da studente di giornalismo osservo anche il mondo dell’informazione, di come i media stanno affrontando l’emergenza. Dai toni allarmistici delle prime settimane all’invito alla calma, all’incessante lavoro di aggiornamento sui nuovi casi, sui focolai. I racconti delle persone in quarantena nei paesi ormai fantasma del lodigiano.
Del perverso rapporto fra politica e informazione, osservo le dichiarazione dei leader, le sterili strumentalizzazioni di partito e il lavoro del governo. Spulcio il mosaico social che mi si proietta dal cellulare. Osservo le testate fare a gara sul tempo e sulle notizie, i titoli urlanti e la caccia al lettore in un mondo dove l’informazione/merce e il lettore/consumatore sono più importanti della verità, della maturità di una notizia, della correttezza.

Quando ieri sera ha cominciato a girare una bozza non definitiva del decreto approvato stanotte, ho avuto paura della velocità con cui la notizia – non ancora matura – ha cominciato a rimbalzare fra le maggiori testate italiane. Paura e sconforto. Perché in una situazione così delicata come quella attuale, il giornalismo ha il dovere morale ed etico di informare la cittadinanza in modo corretto, senza provocare allarmismi ma cercando di unire la popolazione, soprattutto di fronte questo tipo di emergenza in cui sono richiesti collaborazione e sforzo collettivo per impedire una maggiore diffusione del virus. E invece, la fretta, i titoloni, la paura di “bucare” la notizia hanno avuto come effetto, deleterio, il diffondere un testo non ancora approvato e di provocare il panico fra i lettori, i cittadini, nonché il concreto rischio di vanificare gli sforzi del Governo. Ci ritroviamo a combattere un virus dall’estrema facilità di contagio e l’intercity notte che da Milano, poche ore prima di un decreto che limita la mobilità per necessità di contenimento, percorre tutta l’Italia pieno di gente che scappa al sud.
Ed è allora giusta la rabbia del primo ministro contro la diffusione della bozza, e hanno fatto bene il Post e Valigia blu che con professionalità e correttezza hanno atteso l’ufficialità del documento prima di scrivere articoli, titoli e commenti. Gli unici raggi di luce in un mondo dell’informazione sempre più buio, l’unico appiglio di  speranza per questa professione: tutte le altre testate italiane stanno contando i click e le views di ieri sera mentre probabilmente Covid-19 è spasso su un intercity e il giornalismo, che già da anni zoppica, rischia di ritrovarsi senza la fiducia di chi i giornali li consuma e soprattutto, di chi questa professione la sta studiando e spera di praticarla, un giorno.

IL CORONAVIRUS E NOI. FRA SUD E NORD… : leggi il diario

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