
Valentina Brioccia
«Ma dai, non esci di casa, che ridere!» ho ancora queste frasi salvate in quelle chat, le ricordo come fossero ieri, taglienti e affilate come le lame di una sciabola.
Mi hanno fatta sentire esagerata, perversa e senza coraggio. Sì, lo ammetto, ho avuto paura e ho sentito i brividi di freddo lungo la schiena, ero scoperchiata dentro ad una realtà per me nuova e senza labili confini.
A Parma, a fine febbraio, mi sono premurata di mettere per un momento in stand-by la mia vita, dolente o nolente, non avevo scelte e dovevo quindi iniziare a modificare il mio stile di vita, non mi servivano dieci regole scritte da parte dei nostri eloquenti politici per comportarmi in maniera raziocinante.
Non sono uscita per giorni e quando ho dovuto farlo ero costretta perché i beni di prima necessità a casa mia non arrivavano da soli con le ali, una toccata e fuga in quei supermercati semi deserti e con l’igienizzante che oramai era diventato una parte del mio corpo.
Pensate, ho persino parlato con i muri di casa mia. Pazzesco!
La città parmigiana nel mentre non registrava casi assai significativi, poco più di una decina, ma io pessimista e negativa quale sono mi aspettavo un boom improvviso di infetti.
«Sei ancora in tempo Valentina, prendi un aereo e così starai con la tua famiglia» è ciò che mi ripeteva quella parte di coscienza fragile e desiderosa di nuove luci.
Così ho fatto, ho preso un volo per Cagliari da più di una settimana e sono arrivata a casa mia. Sarò stata incosciente, debole anche, ma la situazione era ancora stabile e non potevo addossarmi colpe e responsabilità per un qualcosa che ancora non era sfociato del tutto.
Qui, sono uscita, sono andata al supermercato rispettando il metro di sicurezza, non ho frequentato posti affollati, sono andata a tagliare i capelli per ricevere una coccola in più e le mie amiche, Elisa, Martina e Silvia, mi hanno dimostrato ancora di più quanto grande sia la nostra amicizia invadendomi di abbracci e baci; addirittura una di loro mi ha fatto prendere in braccio suo figlio di soli cinque mesi.
Ho incontrato anche qualche parente, previo accordo telefonico, e nessuno si è posto il problema del contatto fisico, io in primis; il problema non sussisteva non presentando alcun sintomo e avendo contattato chi di dovere per spiegare tutto il mio iter mi è stato raccomandato di continuare a svolgere le normali attività con il buon senso, come già facevo, e di combattere solo contro l’ignoranza del mondo circostante, perché «il virus non l’hai portato tu e se lo riscontrerai sarà qui che l’avrai preso e non nella tua città di adozione, le persone devono saper calcolare i tempi».
Quindi, solo una cosa, rispetto all’inizio, stava cambiando. Le persone che mi deridevano, adesso, mi classificano come una potenziale untrice, non curanti del fatto che Parma sia diventata zona rossa solo dalla tarda sera di sabato.
Voglio chiedervi questo: avevate bisogno di un decreto per scatenare le vostre ire funeste?
Andate alla ricerca disperata di un capro espiatorio, deridete e calunniate per sentirvi sicuri e persone migliori di altri, ma qui, in questo istante, nessuno è più bravo di nessuno, se non tutto il personale ospedaliero che ogni giorno lotta e magari piange in silenzio, estenuati dalle grosse responsabilità che si trovano a fronteggiare.
Mi preme sottolineare questo non solo per me, ma anche per tutti quei colleghi e amici che stanno vivendo una situazione uguale alla mia, mi sento di denunciarlo e scriverlo perché siamo vittime di un’ingiustizia.
Quando voi eravate al mare a fare aperitivo in mezzo alla folla, quando parlavate di rimedi a base di mirto e ancora quando nel vostro telefono la prima emoji era quella sorridente, la maggior parte di noi, a Parma e non solo, ha lasciato le strade deserte con tanta sofferenza nel cuore.
Cosa potevate saperne e capirne, non lo stavate vivendo in prima persona e vi faceva comodo parlare con serenità e pacatezza.
Il virus cammina piano piano e in silenzio, sfortunatamente, arriva anche in Sardegna e così avete deciso di mostrarvi per ciò che siete realmente, avete indossato la toga e le vostre abilità scrittorie di giudici supremi si sono riversate nell’unico canale pubblico, che fortunatamente, vi è concesso: il tribunale facebookiano.
La gogna mediatica è ciò che si meritano ragazzi diciottenni alla loro prima esperienza da fuori sede lontano dagli affetti più cari, l’augurio che il coronavirus conquisti il nostro corpo è la giusta punizione che noi, vostri schifosi conterranei, ci meritiamo, ci state dando in pasto ai social facendoci sentire responsabili del male limitrofo. «Io avrei fatto così», «non avrei preso quel treno», bla bla bla, nelle situazioni ci devi essere dentro fino in fondo, devi viverle sulla tua pelle per poter dire cosa avresti fatto o meno. Io sto zitta, non lo so cosa avrei fatto nel momento in cui un governo incompetente fa trapelare la bozza di un decreto o che pochi giorni prima invitava la nazione a vivere come se niente di grave stesse capitando.
Tutti abbiamo sbagliato, con tempistiche diverse e con comportamenti sconsiderati. Un giorno, ognuno di noi, farà i conti con la propria coscienza e non ci sarà punizione peggiore di questa.
Tacete ora senza farci sentire untori malcapitati, non pensate che vivere in un Paese democratico significhi automaticamente essere liberi di esprimere le proprie sporche opinioni su quei canali web che vi fanno da scudo.
Intorno a voi ci sono persone e anime fragili, è perciò fondamentale pensare accuratamente quando si affrontano certi argomenti.
Ieri mi sono ritrovata a piangere, urlare e strillare tra le braccia di mio padre perché mi sono stati fatti dei rimproveri infondati, ho letto stati, quasi sicuramente indirizzati a me, pieni di odio, ma sappiate che io non porterò mai rancore per la violenza verbale che state facendo a me, anzi un giorno quando tutto questo passerà vi vorrò anche abbracciare.
Voi stessi vi ricorderete quando lanciavate, insieme alle istituzioni, gli hashtag #cagliarinonsiferma, #milanononsiferma, #torinononsiferma, #parmanonsiferma e farete a pugni con le vostre consapevolezze anche per questo.
Fermatevi, siete in tempo affinché non vi convertiate del tutto in carnefici di un qualcosa di cui ancora non si è parlato accuratamente: il supporto psicologico di cui alcuni di noi avranno bisogno alla fine di questo delirio.
Mi metterò per un’altra settimana in auto quarantena, non per chi mi accusa e mi addita come una stronza sconsiderata, ma per dimostrare a me stessa che sono forte e che le misure che avevo iniziato a adottare settimane fa, mentre dal sud ignoravano che proprio in quel momento stavano impennando vertiginosamente i contagi, devono essere rafforzate ulteriormente.
Sono certa e sicura che se queste regole fossero state prese due settimane fa probabilmente non ci sarebbero state folle nei supermercati e le resse nei treni.
In futuro, non mi sentirò così insensibile da condannare qualcuno, la cattiveria non fa parte di me, per questo dico che la rabbia sul web non fa altro che aumentare la divisione e l’abominio. Sono stati tutti comportamenti umani e come tali vanno almeno compresi.
Ogni giorno rischiamo le nostre vite, ci odiamo e puntiamo il dito contro il prossimo, evitiamo di creare un’ulteriore guerriglia tra impotenti.
È sorta la buona occasione per amarsi di più, vacciniamoci di affetto e vicinanza, rispettando sempre il metro di distanza!
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