
Gabriele Balestrazzi
Il silenzio. E’ la prima cosa che colpisce e sgomenta, nel riabbracciare brevemente un pezzetto di città dopo tre giorni di “clausura”. Un silenzio che mi fa un po’ paura, perchè Parma così l’ho vista e sentita solo il giorno della tragica esplosione del Cattani.
Allora era il novembre che nel silenzio già avvolge un po’ la città, quando la nebbia la nasconde e l’umidità vi penetra, come nelle ossa di chi cammina. Ma adesso questo silenzio così cupo sembra fare a pugni con la primavera che esplode, ligia al calendario e incurante di virus ed altre contrarietà. Perfino nella via Emilia, svuotata quasi completamente dalle auto, risaltano come non mai i pruni ormai fioriti: una…via Emilia “en rose”.
Davanti a un supermercato, che giustamente scagliona gli ingressi, si scopre che perlomeno abbiamo imparato a stare in fila, ordinatamente e a scacchi per rispettare le distanze di sicurezza. Sembra un flash mob oppure una di quelle scene che siamo abituati a vedere ed invidiare solo in Paesi con più senso civico del nostro. Chissà che, perlomeno, il coronavirus non ci lasci anche qualche eredità positiva come un po’ più di educazione civica o chissà se invece torneremo subito a debordare, in tutti i sensi.
Mi sposto nel parco Falcone Borsellino (altri due nomi che dovrebbero ricordarci l’esempio di persone che hanno avuto il coraggio di affrontare situazioni anche peggiori di questa nostra di oggi). Occorre un po’ sgranchirsi le gambe e la testa, e anche metabolizzare le emozioni delle storie di studentesse e studenti che sono tornati al Sud ma non sempre hanno trovato il calore delle radici e si sono trovati invece additati come untori ingrati ed incoscienti (di questo ci sarà modo di riparlare). Una camminata o una corsetta – ho sentito stamattina in radio da un infettivologo – non sono affatto da sconsigliare ed anzi possono essere salutari, purchè ovviamente si mantengano distanze e precauzioni.
Nel parco gli incontri sono radi e si finisce per salutarsi come sui sentieri di montagna. Ma nel frattempo, con gli occhi si controllano le distanze e spesso ci si allontana reciprocamente, anche se d’istinto verrebbe da stringersi la mano per incoraggiarsi a vicenda. Fiori, cielo e sole sono in linea con il calendario, eppure ci si scruta cupi e senza sorrisi, quasi col dubbio – pur in questa bellissima luminosa giornata – di essere in colpa e di fare qualcosa di sbagliato.
Bellezza e tristezza insieme. E incertezza. Per fortuna, uscendo dal parco, si incrocia poi la statua di Arturo Toscanini, ormai rassegnata – nell’era degli incivili – a restarsene senza bacchetta. Ma già solo con le mani il Maestro sembra ancora dirigere, e ci ricorda che lui seppe fronteggiare il fascismo, la stupidità dei gerarchi ignoranti che lo schiaffeggiarono e il lungo esilio. Per poi tornare trionfalmente nella sua Scala, in un concerto che fu simbolo di quella rinnovata Libertà che anche noi ora speriamo di ritrovare. Va’ pensiero…
IL CORONAVIRUS E NOI. FRA SUD E NORD… : leggi il diario
Rispondi